Si fa da moooolto tempo, ma solo da poco si dice apertamente, senza alcun pudore: se vuoi il tesserino da pubblicista, devi pagartelo tu. La testata ti farà il favore di darti visibilità pubblicando i tuoi articoli, tu verserai quanto necessario a raggiungere la quota minima per l’iscrizione all’Ordine. Quanto poi possa valere, dal punto di vista professionale ed umano, un tesserino del genere, si può facilmente immaginare. Per fortuna ci sono ancora alcune –- poche — luminose eccezioni: come quella di chi l’esperienza se la fa davvero sul campo (minato) e pagando sì, ma sulla propria pelle, in prima persona.
31 marzo 2009 alle 9:48 am |
A me risulta che l’iscrizione all’ordine serva esclusivamente per essere assunto da una testata giornalistica in base al contratto collettivo nazionale di lavoro o per dirigerne una. Non mi risulta che si debba essere iscritti all’ordine per pubblicare, nemmeno a quello dei pubblicisti.
In compenso, l’iscrizione all’ordine produce il vantaggio di una tutela corporativa e di un trattamento pensionistico di favore.
Maniaci mi risulta sia stato rinviato a giudizio, ma Farina è ancora al suo posto, o sbaglio? Per parafrasare Groucho Marx, non mi andrebbe di far parte di un circolo che annoveri, tra i suoi membri anche me oltre Belpietro, Giordano, Fede, Mazza, Feltri, Mimun e perfino Gasparri.
31 marzo 2009 alle 10:28 am |
Ti risulta bene. C’è chi vuol diventare pubblicista perché “fa figo”, chi perché spera di lavorare in un ente pubblico come addetto stampa, chi per fare almeno un primo passo nei meandri dell’Ordine-corporazione… questo i “giornali” lo sanno e se ne approfittano alla grande.
Quanto a me, si sarà capito che non faccio parte del club :-)
31 marzo 2009 alle 10:33 am |
Ho fatto il collaboratore per un giornale per 3 anni e quando è stato il momento di prendere il tesserino da pubblicista, vi ho rinunciato.
Serve ad avere un titolo in più, ma ormai la professione è davvero ai minimi storici. I giornali sfruttano questa “ambizione” di tutti a diventare pubblicisti ricevendo a piene mani lavoro gratis. “E’ la stampa, bellezza!”, qualcuno ti dirà, una trafila che tutti dovrebbero fare a loro avviso. Invece è solo un precariato estremo regolarizzato.
I più assidui, attraverso la gavetta da collaboratore-pubblicista, si ingraziano il giornale e riescono a spuntare anche il contratto di praticantato che permette di accedere alla professione. Ma il talento, la passione, il merito, sono tutti aspetti quasi marginali.
31 marzo 2009 alle 11:30 am |
Tre anni?!? Che perseveranza, io all’epoca ho resistito solo 8 mesi… storie personali a parte, spero che della passione, del talento, del merito e del coraggio di Maniaci si continui a parlare.