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Caggio-Story

20 dicembre 2009

Ovvero: cosa succede quando ci si mette in testa di riscoprire in prima persona i sapori della tradizione natalizia abruzzese

Ingredienti:

Per il/la folle che farà i CAGGIONETTI:
Passione
Tempo
Pazienza
Precisione
Forza fisica
Agilità
Velocità
Destrezza
Spirito natalizio
Un familiare esperto in “caggionettismo” disposto a supervisionare senza invadere, limitando i danni della vostra prima volta

Per la sfoglia:
½ kg di farina 00
1 bicchiere piccolo (100 gr) d’olio d’oliva
1 e ½ – 2 bicchieri piccoli di vino bianco
1 terrina capiente
pellicola per alimenti (appena preparata la sfoglia va coperta, sennò si secca!)

Tutto qui? NO: bisogna scegliere se:
Farne anche un’altra, utilizzando quindi 1 kg di farina… sennò avanza il ripieno che segue!
Oppure, dimezzare la ricetta del ripieno. (Ma una volta che si fanno, meglio abbondare…)

Per il ripieno:
2 scatole di ceci lessati, scolati, risciacquati (240-250 gr), riscolati e passati al passaverdure o frullatore
1 barattolo piccolo di marmellata d’uva nera abruzzese (240-250 gr)
marmellata di ciliege o amarene o visciole, 150-200 gr (in ogni caso: metterne meno di quella d’uva)
2 cucchiai di mosto cotto o marsala secco
2 cucchiai di rum o maraschino, amaretto, Aurum
2 cucchiai di cacao amaro in polvere
100 gr noci tritate
100-150 gr mandorle tritate (volendo si possono anche tostare, prima)
la buccia grattugiata di 2 arance
1 terrina molto profonda in cui mescolare il tutto
1 cucchiaio

Per la frittura:
½ litro di olio d’oliva
200-300 gr di zucchero semolato o a velo
1-2 bustine di vanillina (da mescolare allo zucchero)
1 piatto fondo dove mettere zucchero+vanillina
miliardi di fogli di carta assorbente (1 rotolo e mezzo-2 basteranno)
1 passino/colino
2 pentole belle grandi (a metà frittura bisognerà filtrare l’olio, cambiare pentola e aggiungerne di fresco)
1 mestolo forato
1 paletta di legno

Per la manodopera:
1 rotellina ondulata per sagomare i caggionetti
spianatoia di legno
macchinetta per la pasta, da mettere prima alla seconda tacca (larga) e poi alla penultima (sottile)
1 coltello per tagliare il panetto in pezzi
1 cucchiaino per distribuire il ripieno
1 forchetta per fissare i bordi dei caggionetti prima della frittura
almeno 5-6 vassoi GRANDI su cui poggiare i caggionetti, prima e dopo la frittura
altrettanti strofinacci per tenerli coperti prima della frittura (sennò la pasta sfoglia si secca!)
un 100-200 gr di farina in più, per cospargervi di tanto in tanto la macchinetta per la pasta e il piano di lavoro (sennò la pasta sfoglia si appiccica!)

Il pomeriggio/sera precedenti, preparare il ripieno mescolando tutti gli ingredienti. Coprire e mettere in frigo.
La mattina seguente, dopo una robusta colazione (i caggionetti consumano energie) e prima di farsi la doccia (alla fine puzzerete di fritto da pazzi), indossare una bella parnanza ed approntare l’apparato cuciniero:

Poggiare la spianatoia in legno sul tavolo di cucina. Fissare la macchinetta per la pasta a un’estremità della spianatoia, lasciando quindi lo spazio possibile per il nastro di pasta che uscirà dalla macchinetta. Fissare lo spessore della macchinetta alla seconda tacca (larga). Cospargere spianatoia e macchinetta di abbondante farina bianca.

Preparare la sfoglia. Mettere gli ingredienti nella terrina e lavorarli energicamente (a mano, certo!) finché non si ottiene un impasto elastico ma non appiccicoso. Farne un panetto, coprirlo con la pellicola e metterlo in frigo per una decina di minuti.
Nel frattempo, disporre i vassoi coperti da fogli di carta assorbente vicino alla spianatoia; assicurarsi di avere anche diversi strofinacci a portata di mano.

Tirare fuori il ripieno da dove l’avevate messo, e pure il cucchiaino.

Ritirare fuori dal frigo la sfoglia. Scoprirne un pezzetto, tagliarlo e passarlo nella macchinetta (che sarà alla seconda tacca, quella larga). Non mettetevi le mani nei capelli se la pasta ne uscirà rotta e frastagliata: infarinatela un pochino, mettetela a doppio strato e ripassatela nella macchinetta. Va un po’ meglio, ma non benissimo… ripiegatela su se stessa a metà e ripassatela un’altra volta. Ne uscirà un rettangolo decisamente più liscio. Fate i bravi, ancora un’altra passata e sarà perfetto… per essere messa a riposo sotto uno strofinaccio. Avanti così, tagliate via dal panetto (ricoprendolo sempre ogni volta con la pellicola per non farlo seccare!) un altro pezzo e ripetete questo procedimento zen fino ad esaurimento del panetto (non della pazienza, ve ne servirà ancora molta!).

Uh. Adesso potete concedervi un bicchiere d’acqua e, se necessario, un pit stop in bagno.

Rinfrancati, tornate alla carica. Regolate di nuovo la macchinetta per la pasta, mettendola alla penultima tacca: state per fare una sfoglia più sottile e signorile! Poi acchiappate uno dei rettangoli fatti prima da sotto lo strofinaccio (prima di fare la pausa sarete stati bravi a ricordarvi di coprire il tutto, naturalmente) e passatelo ancora nella macchinetta, ottenendo finalmente una sfoglia degna di questo nome.

Il tempo di esultare non ce l’avete, perché adesso viene il bello: prendete un cucchiaino-ino di quel mastodontico ripieno preparato da ieri e tac!, poggiatelo a metà del nastro di pasta, stando attenti a lasciare un mezzo cm di spazio sui tre lati. Continuate così, affiancando tante piccole cucchiainate (argh!) fino a esaurimento del nastro. E ooops!, adesso potete ripiegare la sfoglia sul ripieno, facendo collimare i bordi.

Vedrete tanti bozzetti innocenti sporgere da sotto la sfoglia: è ora di trasformarli in caggionetti, dandogli forma. Come? Semplice, spiaccicando delicatamente la pasta intorno ad ogni mucchietto in modo da togliere l’aria residua (eggià!) ed ottenere delle mezzelune/raviolini che separerete poi definitivamente con la rotellina ondulata.

N’attimo, n’attimo, ché mica avete finito: con la punta della forchetta premete tutt’intorno ai bordi dei caggionetti per fissarli ed evitare indesiderate fuoriuscite di ripieno (attenti a non premere troppo forte, la sfoglia potrebbe bucarsi).
Oh, e tenete da parte i ritagli avanzati di sfoglia!: alla fine della fiera potrete, o friggerli tipo frappe, o farne una pallottola da ripassare nella macchinetta (rispettando la sequenza tacca larga – tacca sottile) per ottenere un ultimo nastro di sfoglia utilizzabile per gli ultimi – grazie a Dio! – caggionetti.

E i caggionetti che andate formando, dove li mettete? Nei vassoi che terrete a portata di mano, con carta sotto e strofinacci sopra.

Ripetere l’operazione per enne volte (ci vorrà minimo un’oretta-oretta e mezza, dipende dalla manualità). Se tutto va come deve andare, vi ritroverete circondati da vassoi coperti di caggionetti (crudi, ma ancora per poco!) e con la pentola del ripieno fi-nal-men-te vuo-ta, fiuuuuuuuu.

Stanchi? Nah. E’ tempo di dedicarsi alla preparazione del piano cottura. Metterci su una delle due pentole e versateci dentro ¼ di litro d’olio d’oliva. Non accendete il fuoco, non ancora. Piuttosto disponete altri vassoi nelle vicinanze, copriteli con almeno un paio di strati della cavolo-di-carta-assorbente e su questa spargete una manata generosa di zucchero misto a vanillina (il piatto dove tenerli già mescolati, ve lo siete mica scordato?).

STOP. E’ la vostra ultima possibilità per bere, andare in bagno, telefonare etc. Quando l’olio sarà bollente, non potrete staccarvi dai fornelli!

Ok, allora accendete il fuoco sotto la pentola. Aspettate che l’olio raggiunga la temperatura giusta — bollente, ma non al punto da fare il fumo. Per capire quando è il momento giusto, sacrificate un ritaglio di sfoglia: se immergendolo nell’olio sfrigola, VAI con i caggionetti… tuffateli delicatamente per evitare schizzi roventi. Metterne dentro al massimo una decina alla volta, non di più: dovete avere spazio sufficiente per girarli ad uno ad uno con il mestolo forato e la paletta di legno.

Quando sono ben dorati (non marroni!) e croccanti da entrambi i lati, scolateli e poggiateli sui vassoi foderati di carta inzuccherata. Cospargeteli di zucchero vanigliato, anche sopra. Quando il vassoio sarà pieno di caggionetti cotti, coprirlo con altra carta assorbente (ormai avrete esaurito il primo rotolo) e metterlo a raffreddare in un posto sicuro: sulle mensole più alte non sarebbe male, così vi liberate spazio intorno e, soprattutto, vi date una calmata.

Avete fritto una metà dei caggionetti? Bene. Abbassate la fiamma al minimo, spostate di lato la padella usata e da questa travasate l’olio superstite in un’altra padella pulita, filtrandolo col colino in modo da togliere tutti i pezzetti bruciati, il sedimento scuro, insomma tutte le porcherie che abbrutirebbero i caggionetti rimasti. Adesso versate nella nuova padella anche il quarto di olio fresco rimasto, e fate riscaldare al punto giusto sulla fiamma che avrete rimesso forte (chiedo venia per la bestialità frittoria, ma non sono una food blogger…).

Jàmme, ricominciamo. Caggionetti crudi – tuffarli nell’olio – cuocerli – scolarli – zuccherarli – coprirli… andate avanti così, fino ad esaurimento scorte. Si sarà fatta una certa, suonano le campane, avete fame.

Uuuhhhh! Se vi volete bene, non questo è il momento di guardarsi allo specchio (nonono) né di guardarsi intorno — superfici oliate, inzuccherate, infarinate, pallottole di carta e strofinacci, chiazze bruciate, pentole e utensili unti da lavare. Piuttosto:

addentate un caggionetto finito,

non vedete come occhieggia provocante nella sua carta zuccherosa? Uno soltanto… hmmmmm, è ancora tiepido…
vabbè, giusto un altro… però, il rum si sente!
…e le marmellate anche…
eh, le noci ci volevano, e pure le mandorle, sennò sapeva troppo di dolce…
oh, il mosto cotto dà il suo tocco particolare (d’altra parte, la tradizione)!…
e quella buccia d’arancia grattugiata ci sta proprio bene,…
ehi!, e i ceci?? non si sentono più, però danno quella morbidezza che ci vuole, smorzano le marmellate al punto giusto…
e il cacao amaro: resta giusto un’idea, un ricordo…,
…eeh, faticosi, però!!!, li ho fatti io, potrò pure assaggiarne qualcuno, no?!?

saltate il pranzo. Così potrete farvi con calma una doccia che vi rimette al mondo, e magari anche due passi per digerirli, i vostri caggionetti.

BUON NATALE A TUTTI!!!

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Love always wins…

16 dicembre 2009

“Winston, sitting in a blissful dream, paid no attention as his glass was filled up. He was not running or cheering any longer. He was back in the Ministry of Love, with everything forgiven, his soul white as snow. He was in the public dock, confessing everything, implicating everybody. He was walking down the white-tiled corridor, with the feeling of walking in sunlight, and an armed guard at his back. The long-hoped-for bullet was entering his brain.
He gazed up at the enormous face. Forty years it had taken him to learn what kind of smile was hidden beneath the dark moustache. O cruel, needless misunderstanding! O stubborn, self-willed exile from the loving breast! Two gin-scented tears trickled down the sides of his nose. But it was all right, everything was all right, the struggle was finished. He had won the victory over himself. He loved Big Brother.”

George Orwell, Nineteen Eighty-Four, London, Penguin, 1989 (first published by Secker & Warburg, 1949), p. 311.

Razzismo c(i)eco

10 dicembre 2009

L’articolo Presseurop linkato ieri (e, forse, anche tradotto?) da fogliedivite mi ha riportato improvvisamente alla memoria l’intenso semestre trascorso come assistente linguistico in un istituto superiore di Senov u Noveho Jicina (Moravia).
A quanto pare, dopo dieci anni la loro situazione scolastica non è migliorata, soprattutto per quanto riguarda il razzismo di insegnanti e allievi nei confronti di quelli che chiamavano, con disprezzo misto a paura, “tzigàny, tzigàny”. Ricordo che durante il mio primo giorno di ambientazione nel paesotto, tra i landmarks che la vicepreside mi illustrava compiaciuta (statua di Lenin imbrattata di vernice, piazza rettangolare circondata da portici, palazzine in colori pastello, sportello bancario ECU-friendly, fabbricona di carri armati in dubbiosa riconversione, fabbrichetta di cappelli, Grand Hotel kunderiano, ristorante cinese, risto-disco-pub ggiovane, microstazione ferroviaria, commissariato, ufficio postale, supermercatino con annesso baracchino di polli arrosto, sauna finlandese mistaaah, confine polacco e Sudeti in lontananza) era compreso anche un palazzone cadente con finestre rotte e cortili bui, popolato da facce che, provenendo da un quartiere-ghetto a mia volta, ho subito riconosciuto come familiari.
“DON’T WALK NEAR THERE. STAY FAR AWAY, OR THEY WILL ROB YOU!!!”
l’avvertimento di Milada (Ahoj!, how are you??), pur se in un inglese accecato, era inequivocabile. Naturalmente l’ho ignorato; di quante volte sia passata lì vicino in quei sei mesi ho perso il conto, e mai che sia stata aggredita né derubata. Quante volte, invece, ho visto che per strada le macchine della polizia fermavano sempre-e-solo ragazzi rom. Di vederli in classe, poi, neanche a parlarne. A scuola vedevo altro… molto, molto altro, ma per ora mi fermo qui sennò la nostalgia canaglia mi attanaglia.

Ponte interrogativo

9 dicembre 2009

Dopo essermelo “covato” per mesi e mesi, con lunghi giri in bici, sconfinamenti oltre le transenne, scambi di battute e scommesse con pensionati-ingegneri, eccolo finito, il nuovo e discusso Ponte del Mare sospeso tra le rive gauche e droite di Pescara.

Sarà il monumento che mostrerò con orgoglio agli amici forestieri in visita, o quello a cui farò ritorno ogni tanto con rimpianto se forestiera diventerò anch’io?, è la domandona a cui dovrò rispondere nel 2010.

Siamo tutti copy

6 dicembre 2009


Il distinto signore qui accanto regge un ombrello invece di un cartello, ma la sua faccia vale più di mille parole… di seguito, una personalissima selezione tra le molte lette, gridate, cantate, sorrise, ammirate ieri.

Reason why

4 dicembre 2009

La summa motivazionale della manifestazione di domani, illustrata dalla periferia pescarese. Vado!