…such a lovely place! Del suo omonimo meno famoso affacciato sul lungomare al confine tra Pescara e Francavilla non si può dire altrettanto; in compenso, la proprietà dimostra una rustica, tragicomica schiettezza nell’esternare la propria precaria condizione.
Archive for febbraio 2010
Hotel California
27 febbraio 2010Per grazia ricevuta
23 febbraio 2010“Però, la miracolata non ha mica ringraziato Dio!”, così le bizzoche dell’ex cinemino parrocchiale dove hanno appena proiettato Lourdes commentano deluse il film a proiezione finita. Sono comprensibilmente spaesate: l’agnostica protagonista Christine, una ragazza affetta da una malattia degenerativa senza nessuna speranza di miglioramento, dichiara infatti di andare in pellegrinaggio al santuario mariano più per ragioni turistiche “almeno così posso viaggiare un po’” che fideistiche, passando attraverso le abluzioni e le celebrazioni di rito senza particolare trasporto, anzi (“Perché proprio a me?”, chiede al prete durante la confessione; “Sono sempre arrabbiata, invidio gli altri che stanno bene, che hanno una vita normale”. “Che cos’è normale?”, ribatte il prete; “Davvero pensi che chi invece può camminare sulle proprie gambe sia felice?”). La grande assente del film pare insomma proprio la fede, o per lo meno la spiritualità. E’ presente invece la fisicità: quella dei malati, rappresentati con una regia fredda e spoglia che ne sottolinea i corpi contorti, e quella sana degli accompagnatori, dei volontari che flirtano tra loro, intrecciando storie più e meno lecite all’ombra del santuario (tra parentesi: vivissimi complimenti alla regista per essere riuscita ad ottenere il permesso di girare sul posto). Tra questi, un “piacione” molto moro, sposato e corteggiato cattura da subito l’attenzione di Christine, regalandole inaspettate premure quando è malata e cauti baci una volta guarita. Un miracolo senza urli, pianti, preghiere o conversioni: semplicemente una notte ci si sveglia, ritrovandosi con le membra sciolte e pronte ad alzarsi dal letto. L’anziana compagna di stanza spia i primi gesti della ragazza, squisitamente femminili: va in bagno a pettinarsi finalmente con le sue mani, a infilarsi nei lobi i pendenti.
Al mattino, la tranquilla, timida gioia di Christine fa deflagrare lo stupore e, soprattutto, l’invidia tra gli altri pellegrini (“Perché proprio a lei il miracolo, a una che non ha fede?”, chiede qualcuno al prete che ribatte: “Dio è libero”): un’invidia palese, come quella della madre che ogni anno accompagna la figlia disabile in inutili viaggi della speranza, o mascherata da commenti e sorrisi melliflui tipici delle bizzoche ficcanaso. Sinceramente contento per lei pare solo l’anziano e scettico medico che la visita con delicatezza e scrupolo, accertandone il processo di guarigione, invitandola a stare molto all’aria aperta. Invito che lei prende alla lettera, dato che il giorno prima della partenza va non solo a godersi un gelato sulla veranda di un caffè, ma addirittura a fare un’escursione in montagna.
Un film per niente scontato, con un finale fastidiosamente aperto: lo spettatore ha infatti appena iniziato a digerire la tesi dell’imperscrutabilità della vita e dei disegni divini, sorride alla coppia miracolata-piacione che balla stretta un lento durante la festa finale in onore dei partecipanti al pellegriniaggio, che Christine vacilla, cade, si rialza a fatica; l’imbarazzato accompagnatore si allontana e lei torna a sedersi sulla sua vecchia sedia a rotelle: forse il suo miracolo è solo un miglioramento temporaneo, forse è la punizione per non aver ringraziato abbastanza, forse si tratta di debolezza passeggera e lei potrà presto rialzarsi, costruirsi un futuro. “Se è duraturo, è un miracolo e viene da Dio, altrimenti…”, scuote il capo uno dei pellegrini. “Ma se non è stato Dio a farlo, allora chi?”, chiede una delle bizzoche, mentre le note stonate di un’improbabile “Felicità” in karaoke coprono ironiche ogni dubbio, ogni risposta.