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“Lu cùle”, “la còcce” e “lu fìsiche”

30 luglio 2014

Fortuna, astuzia e DNA. O, se preferite la versione abruzzese: “lu cùle”, “la còcce” e “lu fìsiche”. E’ grazie a una speciale combinazione di questi tre elementi che Venanzio e Sergio sono riusciti a cavarsela, a uscire vivi dalla terribile esperienza dei campi di concentramento nazisti. E tu, in quanto abitante dell’era del cosiddetto terziario avanzato, dovresti prenderli ad esempio, accettando in primo luogo il fatto che oggi sei ridotta a livelli di mera sopravvivenza materiale.
Per quanto il paragone possa sembrare irrispettoso, ti sorprendi a cercare ulteriori analogie. Anche tu sei schiava: di un sistema perfettamente oliato, quello del precariato intellettuale, da cui fuggire è quasi impossibile. Anche tu sei spogliata: della tua identità professionale, e non sai di cosa vivrai domani, da dove e se ti verrà un altro incarico, e quanto tempo durerà, e quando e se ti pagheranno, e quando e se pagherai le bollette o mangerai (paracaduti familiari a parte).
Minacciata in modo più o meno sottile e mobbizzata da lavoratrice dipendente, quando “freelance” (sic) o semiautonoma ridotta a combattere per conquistare un misero articolo, una risibile collaborazione, a inseguire donatori di lavoro che trovano, sempre!, il tempo per proficui incontri e relazioni d’affari altre ma mai per te; sfinita da una serie interminabile di forse, di se, di risentiamoci, di aggiorniamoci a, di silenzi, di vaghezze precedute da illusioni e seguite da delusioni. E hai voglia a cercare solidarietà, spirito di gruppo, idee per uscirne: alla prova dei fatti, dopo i buoni propositi, i “diamoci da fare”, i “pensiamo a un progetto”, i “cerchiamo fondi”, finanche europei, finanche tramite crowdfunding, alla fine, fine, fine la realtà è sempre questa: ognuno per sé, mettendo in gioco la propria quota di “cùle”, di “còcce” e di “fìsiche”, e Dio per tutti. In un paese come il nostro, dove l’Innovazione e la Meritocrazia sono solo belle parole da sbandierare a convegni e talk show, non potrebbe essere altrimenti. Purtroppo.
Potrete dirmi che no, ho torto: che anche, perfino in Italia esistono segnali di speranza e di ripresa, esempi concreti e positivi di realtà che ce l’hanno fatta a realizzare un’idea imprenditoriale e/o culturale remunerativa per tutti i loro soci/attori, e ciò proprio grazie a remoti finanziamenti europei colti sul tempo (e in barba alla loro sfinente burocrazia), al crowdfunding di anime buone, all’interrogativo Che Fare tradotto una volta tanto in esclamativa pratica; ma si tratta pur sempre di esempi più unici che rari, altamente nocivi in quanto rischiano di alimentare in me, in tutti noi che restiamo nostro malgrado fuori da queste fortunate dinamiche, l’llusione che prima o poi anche noi ce la faremo, e che vale la pena di continuare a frustare, ancora una volta dai, ché potrebbe essere quella buona!, i nostri stremati cavalli.
Per quanto tempo ancora vuoi continuare a illuderti? Ah, ma sapete, giusto ieri hai fatto un colloquio con quel politico, forse ti ci scappa una collaborazione come ufficio stampa… Ah beh, auguri tanti allora (pollastra).
Eppure, se “il buon giorno si vede dal mattino”, avresti dovuto capirlo da tempo, che la cultura e la letteratura non ti avrebbero mai e poi mai dato da mangiare, e agire di conseguenza: forse già da quelle prime 100.000 lire che nel 1995 mettesti in mano alla futura presidentessa di una mai nata cooperativa culturale. Lire mai più riviste, ovviamente, e finite con molte probabilità in una pizza&birra&canne collettiva a cui non sei stata invitata, pollastra.
Eh no, non ti è bastato. Sospinta da un’altalena di lavori e lavoretti più e meno prestigiosi, ma tutti nel settore che più ti affascinava, per anni e anni e anni hai continuato a illuderti che fosse possibile per te guadagnarti da vivere… scrivendo.
Su questa altalena, ci hai persino costruito questo blog. Ci hai persino scritto un romanzo, persino segnalato al Calvino. E a un certo punto della tua vita professionale, vedendoti finalmente controfirmato un contratto a tempo indeterminato, hai perfino creduto di avercela fatta, di appartenere alla schiera degli happy few – per di più senza raccomandazioni, “solo con le tue forze”. Pollastra!
Infine, uscita dalle grazie del donatore di lavoro di turno e punita con la messa “in cassa” (integrazione, in deroga), ti sei illusa che l’unione potesse fare la forza. Da pollastra invitta, hai cercato solidali, sperando che qualcosa potesse cambiare. Che insieme, ce l’avresti fatta. Che la via d’uscita al precariato spinto passasse per gruppi, sindacati, network. Ma non hai considerato la tua allergia innata alle “famiglie”, che non ti ha mai portato ad integrarti fino in fondo e con piena convinzione in aziende, comitive, associazioni, antologie.
Unica (di fatto, perché senza fratelli) fin dalla nascita, hai creduto che questo ti autorizzasse a sentirti speciale, pollastra. O a fare come se fossi speciale. Non l’avevi e non l’hai ancora capita, la dura lezione dei campi di concentramento. Adesso prendine atto, e vai avanti per la tua strada.
Sì, ma quale strada? Non quella percorsa finora, of course: per troppo tempo ti sei infognata, impantanata nella passione per la scrittura e la cultura, illudendoti che unita alle tue doti, esperienze, intuizioni, predisposizioni e impegno ti avrebbe dato da mangiare. Non è così, e non solo per te, pollastrella senza santi in paradiso: chiudono i giornali, ultimo esempio l’Unità, dove persone molto più valide e preparate di te hanno fatto gavetta e carriera, da semplici polli in batteria a speciali galli da combattimento. Ti dispiace adesso vederli chiudere e starnazzare? No. Anzi, auguri a tutti gli altri giornali nazionali la stessa meritata sorte, così la facciamo finita una buona volta con l’italocentrismo imperante e lo scrivere le cose aggratis per avere ‘visibilità’, perché fa figo, perché bisogna “esserci” (ricordi il tuo botta e risposta via mail con il direttore del Post? Ecco). Vorrà dire che leggerai altri giornali, giornali esteri, a tutto vantaggio della tua apertura mentale. E che forse andrai ad ingrassare le fila dei cervelli in fuga, chissà. Nel frattempo, farai bene a smetterla di predicare in un senso e di razzolare nell’altro. E terrai bene a mente non solo che ci vogliono “lu cùle”, “la còcce” e “lu fìsiche”, ma che soldi e passioni (Hugh McLeod li ha chiamati Sex and Cash) vanno tenuti molto, ma molto ben distinti.

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