Archive for the ‘ira funesta’ Category

A mollo, d’agosto

11 agosto 2014

Domenica sospiratissima domenica, dopo una convulsa settimana ospedaliera risoltasi infine per il meglio. Te li sognavi da giorni, quel mare e quella spiaggia; e finalmente, dopo la prevedibile caccia grossa al parcheggio e relativa camminata interminabile per raggiungere un punto appena un po’ più isolato degli altri in cui piantare l’ombrellone, sei dove volevi essere: a mollo nel mare calmo, alle spalle dune e macchia mediterranea, sul finire di un caldo pomeriggio.
Le membra contratte da giorni e notti preoccupate però non riescono a sciogliersi al primo abbraccio dell’acqua, così decidi di non seguire lui nell’abituale lunga nuotata, ma di restare ferma a sciaguattare in un tiepido amniotico popolato di plancton, alghe e… pipì altrui, ma che importa: vorrà dire che ci lascerai anche la tua! Un pensiero stupido che ti fa spuntare uno stupido sorriso sulla faccia, come non ti succedeva da troppo tempo. La pipì, però, non viene: evidentemente non ti sei ancora rilassata abbastanza.
Lasciando soltanto la testa fuori dall’acqua e il culo appoggiato sul morbido fondo sabbioso, invochi le proprietà osmotiche del liquido marino e, dopo un rapido sguardo di ricognizione a lui che si allontana nuotando e nuotando beato, ti giri verso il bagnasciuga a rimirare i superstiti di fine giornata: famiglie numerose in ordinata smobilitazione tra bambini, ombrelloni, sdraio e borse-frigo; coppie felici che sobbalzano allacciate in baci e abbracci al sapore di sale; coppie infelici ad andatura di bufalo che si scambiano raffiche di botta e risposta (“Io so badare a me stessa!” “Farai pure volontariato, ma resti sempre la solita stronza!”); fanatici del fitness in disarmo, carbonizzati dal sole; badanti multicolore, noncuranti del proprio sovrappeso; coppie di amici in camminata allegra, diretti chissà dove??
Per esempio, quei due ragazzetti: venti-ventidue anni al massimo l’uno, parlottano guardandosi attorno, come in cerca di qualcosa. Si fermano proprio di fronte a te, un attimo appena, giusto il tempo di notare la tua testa che sporge solitaria dall’acqua, per poi continuare la loro passeggiata. Giri loro le spalle, dopo sette giorni di contatti forzati e familiarità sconosciute non hai voglia di interagire con chicchessia: solo scogli, e intorno la superficie ondulata del mare, col suo medicamentoso placante silenzio.
Uno sciaguattare in lontananza ti allerta (eh i nervi, i nervi a fior di pelle dopo una settimana di ospedale!); giri di pochi impercettibili gradi la testa in direzione della spiaggia, e con la coda dell’occhio vedi i due ragazzetti che, tornati indietro, sono entrati in acqua. Mah, pare vengano nella tua direzione, ma magari è solo una tua impressione errata, acuita dallo stress accumulato. Sai cosa? Frègatene, e continua tranquilla il tuo ammollo. Respiri zen, osservandoti la punta smaltata dei piedi affiorante dall’acqua. Sbagli, o adesso è un filo più mossa di prima? Ma no, sono solo i nervi, solo ‘sti benedetti nervi a fior di pelle, stai tranquilla.
Intanto lo sciaguattare si è fatto più vicino. Tranquilla un cavolo. Presentendo rogne, ti affretti a srotolare gli occhialini che hai avvolti al polso per poterti allontanare a nuoto, magari incontro a lui che, pare, stia virando all’indietro per rientrare, cambiando lo stile da crawl a dorso. Ma non finisci neanche di rimetterteli per bene in testa che due ombre ai lati delle spalle ti salutano, facendoti sobbalzare. Sono vicinissimi, uno alla tua destra l’altro alla tua sinistra, due indesiderati angeli custodi; calcoli al volo le distanze reciproche, tra voi lo spazio di una sola bracciata: troppo poco rispetto alle tue preferenze prossemiche.
“Ciao!”. Capello rasato biondo scuro, limpidi occhi verde mare, lineamenti regolari, denti candidi su sorriso sfrontato, corpo aggraziato quasi efebico: il fidanzatino, il figlio che tutte vorrebbero avere. Un incanto, se non fosse per quell’espressione morta negli occhi.
“Ciao!”, gli fa eco l’altro, capelli e occhi scuri, corpo snello appena più alto e robusto dell’amico, sorriso divertito rivolto a te, che li guardi male e sibili di rimando un “ciao” scocciato e interrogativo, mentre cerchi di infilarti una buona volta i cavolo di occhialini.
Sulla spiaggia, mancoaddirlo, non è rimasta anima viva. E lui, lui dov’è finito? Chissà dov’è arrivato a nuoto adesso, e poi non ti vede mica, preso com’è dalle sue bracciate a dorso.
“Sei sola?”, ti chiede il primo, continuando a sorriderti con gli occhi freddi e muovendo un ulteriore, acquatico passo verso di te.
“NO!, LÌ C’È IL MIO RAGAZZO!”, esclami difensiva; e basta questo, basta girarsi ad indicargli il punto in cui lui sta nuotando e nuotando laggiù, vicino alle rocce affioranti, per farli girare sui tacchi con un “Ah… allora ciao” di commiato.
Incazzata e spaventata, li osservi dirigersi a riva, la testa appena un po’ bassa, a caccia di nuove prede femminili da accerchiare. Fissi a lungo le loro schiene elastiche di uomini in erba, il loro farsi sempre più piccole non basta a tranquillizzarti. Il loro sguardo, non era lo sguardo dei vent’anni. È quello che ti ha messa in allarme, è quello che non riesci a scrollarti di dosso e non ti permette di sentirti perfino lusingata, di fare spallucce e tornare a goderti l’abbraccio del mare.
Anzi, ti giri di nuovo verso le rocce per controllare che lui stia finalmente arrivando: lento, ignaro di pericoli veri o immaginari, nuota ancora a dorso. Lui sì, che si sta godendo il mare.

E cerca di rilassarti pure tu allora, una buona volta. Ahhh, ma che meraviglia quest’acqua ondulata color latte, ma com’è calda, e che pace, e che belle quelle nuvole rosa lassù, sospese a decorare il cielo color lilla…..
…..Ma guarda un po’ quei due stronzetti! Ma che si credevano di fare, qua in spiaggia, con te che potresti essergli madre? Ma perché questa cosa, questa stupidaggine, ti ha dato così fastidio? Ma perché il mare non ha più lo stesso effetto su di te adesso, e non vedi l’ora di tornartene sotto l’ombrellone, non vedi l’ora che lui torni dalla sua lunga nuotata?
Siamo o non siamo nel XXI secolo? E allora, perché quei due non li hai mandati a quel paese con un sorriso, invece di indicargli prontamente il maschio alfa che all’occorrenza avrebbe potuto difenderti? Perché non hai saputo difenderti da sola, almeno a parole (ovviamente, a mente più o meno fredda ti vengono in mente almeno un paio di rispostacce adeguate a quel “Sei sola?”, dal semplice ma sempre efficace: “E a te che te ne frega?”, al più sottile e soave: “No, aspetto tua sorella!”), perché questo innato terrore primordiale? E soprattutto: ma possibile che due bei ragazzi così giovani, due modellini per rivistina tardoadolescenziale, non abbiano di meglio da fare la domenica pomeriggio in spiaggia che abbordare in maniera tanto diretta e grezza una sconosciuta? Che razza di educazione relazionale e affettiva avranno ricevuto? Quella che si può trovare su internet, congetturi, mentre racconti acida l’accaduto a lui che finalmente ti ha raggiunta sotto l’ombrellone, soddisfatto dopo la sua lunga maschia nuotata:
“Di sicuro sono due affezionati frequentatori di YouPorn!”, spari, nel tentativo di dare sfogo alla bile e alla strizza accumulate. E lui ti darà dell’esagerata, forse; forse anche scherzerà, alludendo all’attrazione dei ragazzi della loro età per le milf; forse anche ti dirà che gli dispiace, strizzandoti un braccio e circondandoti protettivo le spalle; forse anche proverà a sdrammatizzare, facendo commenti ammirati sul tuo discreto stato di conservazione; forse anche potrà guardare storto i due stronzetti che poi vi ripasseranno davanti, di ritorno dalla loro infruttuosa passeggiata; ma purtroppo non potrà mai, mai capire davvero cosa vuol dire: ritrovarsi da sola a mollo nel molle mare d’agosto, con due giovani sconosciuti a un braccio di indesiderata distanza.

Pubblicità

“Lu cùle”, “la còcce” e “lu fìsiche”

30 luglio 2014

Fortuna, astuzia e DNA. O, se preferite la versione abruzzese: “lu cùle”, “la còcce” e “lu fìsiche”. E’ grazie a una speciale combinazione di questi tre elementi che Venanzio e Sergio sono riusciti a cavarsela, a uscire vivi dalla terribile esperienza dei campi di concentramento nazisti. E tu, in quanto abitante dell’era del cosiddetto terziario avanzato, dovresti prenderli ad esempio, accettando in primo luogo il fatto che oggi sei ridotta a livelli di mera sopravvivenza materiale.
Per quanto il paragone possa sembrare irrispettoso, ti sorprendi a cercare ulteriori analogie. Anche tu sei schiava: di un sistema perfettamente oliato, quello del precariato intellettuale, da cui fuggire è quasi impossibile. Anche tu sei spogliata: della tua identità professionale, e non sai di cosa vivrai domani, da dove e se ti verrà un altro incarico, e quanto tempo durerà, e quando e se ti pagheranno, e quando e se pagherai le bollette o mangerai (paracaduti familiari a parte).
Minacciata in modo più o meno sottile e mobbizzata da lavoratrice dipendente, quando “freelance” (sic) o semiautonoma ridotta a combattere per conquistare un misero articolo, una risibile collaborazione, a inseguire donatori di lavoro che trovano, sempre!, il tempo per proficui incontri e relazioni d’affari altre ma mai per te; sfinita da una serie interminabile di forse, di se, di risentiamoci, di aggiorniamoci a, di silenzi, di vaghezze precedute da illusioni e seguite da delusioni. E hai voglia a cercare solidarietà, spirito di gruppo, idee per uscirne: alla prova dei fatti, dopo i buoni propositi, i “diamoci da fare”, i “pensiamo a un progetto”, i “cerchiamo fondi”, finanche europei, finanche tramite crowdfunding, alla fine, fine, fine la realtà è sempre questa: ognuno per sé, mettendo in gioco la propria quota di “cùle”, di “còcce” e di “fìsiche”, e Dio per tutti. In un paese come il nostro, dove l’Innovazione e la Meritocrazia sono solo belle parole da sbandierare a convegni e talk show, non potrebbe essere altrimenti. Purtroppo.
Potrete dirmi che no, ho torto: che anche, perfino in Italia esistono segnali di speranza e di ripresa, esempi concreti e positivi di realtà che ce l’hanno fatta a realizzare un’idea imprenditoriale e/o culturale remunerativa per tutti i loro soci/attori, e ciò proprio grazie a remoti finanziamenti europei colti sul tempo (e in barba alla loro sfinente burocrazia), al crowdfunding di anime buone, all’interrogativo Che Fare tradotto una volta tanto in esclamativa pratica; ma si tratta pur sempre di esempi più unici che rari, altamente nocivi in quanto rischiano di alimentare in me, in tutti noi che restiamo nostro malgrado fuori da queste fortunate dinamiche, l’llusione che prima o poi anche noi ce la faremo, e che vale la pena di continuare a frustare, ancora una volta dai, ché potrebbe essere quella buona!, i nostri stremati cavalli.
Per quanto tempo ancora vuoi continuare a illuderti? Ah, ma sapete, giusto ieri hai fatto un colloquio con quel politico, forse ti ci scappa una collaborazione come ufficio stampa… Ah beh, auguri tanti allora (pollastra).
Eppure, se “il buon giorno si vede dal mattino”, avresti dovuto capirlo da tempo, che la cultura e la letteratura non ti avrebbero mai e poi mai dato da mangiare, e agire di conseguenza: forse già da quelle prime 100.000 lire che nel 1995 mettesti in mano alla futura presidentessa di una mai nata cooperativa culturale. Lire mai più riviste, ovviamente, e finite con molte probabilità in una pizza&birra&canne collettiva a cui non sei stata invitata, pollastra.
Eh no, non ti è bastato. Sospinta da un’altalena di lavori e lavoretti più e meno prestigiosi, ma tutti nel settore che più ti affascinava, per anni e anni e anni hai continuato a illuderti che fosse possibile per te guadagnarti da vivere… scrivendo.
Su questa altalena, ci hai persino costruito questo blog. Ci hai persino scritto un romanzo, persino segnalato al Calvino. E a un certo punto della tua vita professionale, vedendoti finalmente controfirmato un contratto a tempo indeterminato, hai perfino creduto di avercela fatta, di appartenere alla schiera degli happy few – per di più senza raccomandazioni, “solo con le tue forze”. Pollastra!
Infine, uscita dalle grazie del donatore di lavoro di turno e punita con la messa “in cassa” (integrazione, in deroga), ti sei illusa che l’unione potesse fare la forza. Da pollastra invitta, hai cercato solidali, sperando che qualcosa potesse cambiare. Che insieme, ce l’avresti fatta. Che la via d’uscita al precariato spinto passasse per gruppi, sindacati, network. Ma non hai considerato la tua allergia innata alle “famiglie”, che non ti ha mai portato ad integrarti fino in fondo e con piena convinzione in aziende, comitive, associazioni, antologie.
Unica (di fatto, perché senza fratelli) fin dalla nascita, hai creduto che questo ti autorizzasse a sentirti speciale, pollastra. O a fare come se fossi speciale. Non l’avevi e non l’hai ancora capita, la dura lezione dei campi di concentramento. Adesso prendine atto, e vai avanti per la tua strada.
Sì, ma quale strada? Non quella percorsa finora, of course: per troppo tempo ti sei infognata, impantanata nella passione per la scrittura e la cultura, illudendoti che unita alle tue doti, esperienze, intuizioni, predisposizioni e impegno ti avrebbe dato da mangiare. Non è così, e non solo per te, pollastrella senza santi in paradiso: chiudono i giornali, ultimo esempio l’Unità, dove persone molto più valide e preparate di te hanno fatto gavetta e carriera, da semplici polli in batteria a speciali galli da combattimento. Ti dispiace adesso vederli chiudere e starnazzare? No. Anzi, auguri a tutti gli altri giornali nazionali la stessa meritata sorte, così la facciamo finita una buona volta con l’italocentrismo imperante e lo scrivere le cose aggratis per avere ‘visibilità’, perché fa figo, perché bisogna “esserci” (ricordi il tuo botta e risposta via mail con il direttore del Post? Ecco). Vorrà dire che leggerai altri giornali, giornali esteri, a tutto vantaggio della tua apertura mentale. E che forse andrai ad ingrassare le fila dei cervelli in fuga, chissà. Nel frattempo, farai bene a smetterla di predicare in un senso e di razzolare nell’altro. E terrai bene a mente non solo che ci vogliono “lu cùle”, “la còcce” e “lu fìsiche”, ma che soldi e passioni (Hugh McLeod li ha chiamati Sex and Cash) vanno tenuti molto, ma molto ben distinti.

Buongiorno, alluvione

2 dicembre 2013

Buongiorno, alluvione

Il risultato di 24 ore ininterrotte di pioggia nel mio quartiere: San Donato, a Pescara.

Un paese di santi, poeti, navigatori e stragisti

20 Maggio 2012

Ci sono giorni in cui essere italiana mi pesa, mi pesa tantissimo.

Il prezzo delle parole

25 marzo 2011

“Ah, fortunata/o te che fai un lavoro creativo… non solo ti diverti, ma a quanto so, si guadagna anche bene! Soprattutto nelle agenzie milanesi, poi!”
Se anche tu lavori come copy, chissà quante volte ti è capitato di sentirti dire queste parole. Bene, la prossima volta non ci sarà bisogno di rispondere nulla: basterà far leggere al tuo interlocutore questo annuncio, pescato di fresco nella Rete, che dimostra come e quanto a Milano, publiCittà italiana per definizione, vengano remunerati gli scrivani.

Proud to be an Italian woman (un post ripetitivo)

14 febbraio 2011

Non doversi vergognare, una volta tanto; non dover essere oggetto di barzellette, una volta tanto; non doversi sentire cittadine di serie B di un paese di serie B, una volta tanto: ne vogliamo tante altre, di volte così!!!
Tanto fiera di aver partecipato alla manifestazione del 13 febbraio da volerci mettere, una volta tanto, la faccia…

…insieme a quelle di tanti altri concittadini e concittadine che, una volta tanto, hanno potuto e voluto farsi sentire, leggere, vedere, ascoltare.
























The first smiles in the morning

5 febbraio 2011

…quello catturato* da un treno in partenza,

…e quello che ti spunta quando leggi anche il tuo nome in un catalogo tutt’altro che dongiovannesco:

fdv

Morto dentro

10 gennaio 2011

Parafrase per parafrase, è “a dir poco singolare” assistere alle sparate di chi, con cosiddetto “sano realismo padano”, esalta le capacità autorigeneratrici ed autoimprenditoriali dei veneti rispetto a quelle degli abruzzesi, visti come “peso morto”, zavorra in lagnosa attesa di aiuti statali, “riedizione rivista e corretta dell’Irpinia”; di chi, in un faticoso clima di celebrazioni per il centocinquantenario, blatera di “disaffezione delle genti del nord” e di “rottura inevitabile con lo stato centralista”.
Inevitabile anche il mio commento a caldo: peso morto sarai tu, mister b minuscola. Peso, sulle teste dei cittadini italiani che ti pagano il grasso stipendio da europarlamentare; e soprattutto morto, morto dentro, verdastro generatore di frasi grette e biliose!