Archive for the ‘ombelicodelmondo’ Category

Metterci il cuore

2 gennaio 2017

Due giorni dall’inizio del nuovo anno, e io che non faccio mai bilanci per iscritto stavolta ho voglia di tirare un po’ le somme.

Sarà che a breve mi arriverà il resoconto annuale delle statistiche di WordPress, con i dettagli degli accessi a questo blog, che confermeranno la mia natura a-social.

Sarà che il mio 2016 è stato un anno memorabile, sotto tanti punti di vista.

Sarà che ho chiuso e sto affrontando tanti sospesi… e che questo blog rientra appunto tra le zavorre di cui credo di poter fare a meno nell’anno nuovo.

Nel 2016 ho pubblicato qui soltanto due post, uno a gennaio e l’altro a febbraio; dopodiché, il silenzio. Ma nel frattempo ho scritto e pubblicato, perfino tradotto altrove: su e per Medium, Twitter, Abbiamo le Prove, Fazi, servendomi di forme e piattaforme a me più congeniali. Luoghi pur sempre virtuali ma con un loro calore di fondo, dove avevo e ho ancora voglia di scrivere, di comunicare, di lasciare tracce che, a sentire le reazioni e i commenti, hanno toccato il cuore a molti.

Perché io per prima ci ho messo il cuore.

39-matisse-icaro

Henri Matisse, Icaro

Questo blog, invece, un cuore non ce l’ha più. Specie dopo la pubblicazione del libro omonimo, se lo è perso per strada, post dopo post, e al suo posto sono subentrati testa, smania di copyare, giochi di parole, citazioni… tutte cose anche piacevoli ma, gratta gratta, vuote. Che non toccano e non lasciano traccia.

…her heart wasn’t in it”: “…lei non ci metteva il cuore”. Traduco molto alla lettera, pescandola a caso (anche se al caso ormai non credo più), una frase dal secondo libro che sto finendo di co-tradurre insieme a @ennemme (co-tradurre libri “veri”, di carta, per un vero editore: una bella sfida e soddisfazione nel 2016). Metterci il cuore, ascoltare di più la pancia evitando di disperdere le mie energie vitali, è diventata ormai un’esigenza imprescindibile.

Per questo, la copydimare resta su Medium e Twitter, ma chiude “Lo scopriremo solo scrivendo”, ringraziando il suo pubblico a suon di musica. E per il 2017, vi rimanda al suo nuovo sito in costruzione, copydimare.com, e ad altri progetti di scrittura ancora troppo embrionali per volerne parlare adesso.

Siti e progetti ancora tanto, tanto incompleti e imperfetti (non lo siamo sempre tutti?), magari più sofferti, ma in fondo più sentiti e autentici… più vivi.

https://www.youtube.com/watch?v=l6brhcxdKKo

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A mollo, d’agosto

11 agosto 2014

Domenica sospiratissima domenica, dopo una convulsa settimana ospedaliera risoltasi infine per il meglio. Te li sognavi da giorni, quel mare e quella spiaggia; e finalmente, dopo la prevedibile caccia grossa al parcheggio e relativa camminata interminabile per raggiungere un punto appena un po’ più isolato degli altri in cui piantare l’ombrellone, sei dove volevi essere: a mollo nel mare calmo, alle spalle dune e macchia mediterranea, sul finire di un caldo pomeriggio.
Le membra contratte da giorni e notti preoccupate però non riescono a sciogliersi al primo abbraccio dell’acqua, così decidi di non seguire lui nell’abituale lunga nuotata, ma di restare ferma a sciaguattare in un tiepido amniotico popolato di plancton, alghe e… pipì altrui, ma che importa: vorrà dire che ci lascerai anche la tua! Un pensiero stupido che ti fa spuntare uno stupido sorriso sulla faccia, come non ti succedeva da troppo tempo. La pipì, però, non viene: evidentemente non ti sei ancora rilassata abbastanza.
Lasciando soltanto la testa fuori dall’acqua e il culo appoggiato sul morbido fondo sabbioso, invochi le proprietà osmotiche del liquido marino e, dopo un rapido sguardo di ricognizione a lui che si allontana nuotando e nuotando beato, ti giri verso il bagnasciuga a rimirare i superstiti di fine giornata: famiglie numerose in ordinata smobilitazione tra bambini, ombrelloni, sdraio e borse-frigo; coppie felici che sobbalzano allacciate in baci e abbracci al sapore di sale; coppie infelici ad andatura di bufalo che si scambiano raffiche di botta e risposta (“Io so badare a me stessa!” “Farai pure volontariato, ma resti sempre la solita stronza!”); fanatici del fitness in disarmo, carbonizzati dal sole; badanti multicolore, noncuranti del proprio sovrappeso; coppie di amici in camminata allegra, diretti chissà dove??
Per esempio, quei due ragazzetti: venti-ventidue anni al massimo l’uno, parlottano guardandosi attorno, come in cerca di qualcosa. Si fermano proprio di fronte a te, un attimo appena, giusto il tempo di notare la tua testa che sporge solitaria dall’acqua, per poi continuare la loro passeggiata. Giri loro le spalle, dopo sette giorni di contatti forzati e familiarità sconosciute non hai voglia di interagire con chicchessia: solo scogli, e intorno la superficie ondulata del mare, col suo medicamentoso placante silenzio.
Uno sciaguattare in lontananza ti allerta (eh i nervi, i nervi a fior di pelle dopo una settimana di ospedale!); giri di pochi impercettibili gradi la testa in direzione della spiaggia, e con la coda dell’occhio vedi i due ragazzetti che, tornati indietro, sono entrati in acqua. Mah, pare vengano nella tua direzione, ma magari è solo una tua impressione errata, acuita dallo stress accumulato. Sai cosa? Frègatene, e continua tranquilla il tuo ammollo. Respiri zen, osservandoti la punta smaltata dei piedi affiorante dall’acqua. Sbagli, o adesso è un filo più mossa di prima? Ma no, sono solo i nervi, solo ‘sti benedetti nervi a fior di pelle, stai tranquilla.
Intanto lo sciaguattare si è fatto più vicino. Tranquilla un cavolo. Presentendo rogne, ti affretti a srotolare gli occhialini che hai avvolti al polso per poterti allontanare a nuoto, magari incontro a lui che, pare, stia virando all’indietro per rientrare, cambiando lo stile da crawl a dorso. Ma non finisci neanche di rimetterteli per bene in testa che due ombre ai lati delle spalle ti salutano, facendoti sobbalzare. Sono vicinissimi, uno alla tua destra l’altro alla tua sinistra, due indesiderati angeli custodi; calcoli al volo le distanze reciproche, tra voi lo spazio di una sola bracciata: troppo poco rispetto alle tue preferenze prossemiche.
“Ciao!”. Capello rasato biondo scuro, limpidi occhi verde mare, lineamenti regolari, denti candidi su sorriso sfrontato, corpo aggraziato quasi efebico: il fidanzatino, il figlio che tutte vorrebbero avere. Un incanto, se non fosse per quell’espressione morta negli occhi.
“Ciao!”, gli fa eco l’altro, capelli e occhi scuri, corpo snello appena più alto e robusto dell’amico, sorriso divertito rivolto a te, che li guardi male e sibili di rimando un “ciao” scocciato e interrogativo, mentre cerchi di infilarti una buona volta i cavolo di occhialini.
Sulla spiaggia, mancoaddirlo, non è rimasta anima viva. E lui, lui dov’è finito? Chissà dov’è arrivato a nuoto adesso, e poi non ti vede mica, preso com’è dalle sue bracciate a dorso.
“Sei sola?”, ti chiede il primo, continuando a sorriderti con gli occhi freddi e muovendo un ulteriore, acquatico passo verso di te.
“NO!, LÌ C’È IL MIO RAGAZZO!”, esclami difensiva; e basta questo, basta girarsi ad indicargli il punto in cui lui sta nuotando e nuotando laggiù, vicino alle rocce affioranti, per farli girare sui tacchi con un “Ah… allora ciao” di commiato.
Incazzata e spaventata, li osservi dirigersi a riva, la testa appena un po’ bassa, a caccia di nuove prede femminili da accerchiare. Fissi a lungo le loro schiene elastiche di uomini in erba, il loro farsi sempre più piccole non basta a tranquillizzarti. Il loro sguardo, non era lo sguardo dei vent’anni. È quello che ti ha messa in allarme, è quello che non riesci a scrollarti di dosso e non ti permette di sentirti perfino lusingata, di fare spallucce e tornare a goderti l’abbraccio del mare.
Anzi, ti giri di nuovo verso le rocce per controllare che lui stia finalmente arrivando: lento, ignaro di pericoli veri o immaginari, nuota ancora a dorso. Lui sì, che si sta godendo il mare.

E cerca di rilassarti pure tu allora, una buona volta. Ahhh, ma che meraviglia quest’acqua ondulata color latte, ma com’è calda, e che pace, e che belle quelle nuvole rosa lassù, sospese a decorare il cielo color lilla…..
…..Ma guarda un po’ quei due stronzetti! Ma che si credevano di fare, qua in spiaggia, con te che potresti essergli madre? Ma perché questa cosa, questa stupidaggine, ti ha dato così fastidio? Ma perché il mare non ha più lo stesso effetto su di te adesso, e non vedi l’ora di tornartene sotto l’ombrellone, non vedi l’ora che lui torni dalla sua lunga nuotata?
Siamo o non siamo nel XXI secolo? E allora, perché quei due non li hai mandati a quel paese con un sorriso, invece di indicargli prontamente il maschio alfa che all’occorrenza avrebbe potuto difenderti? Perché non hai saputo difenderti da sola, almeno a parole (ovviamente, a mente più o meno fredda ti vengono in mente almeno un paio di rispostacce adeguate a quel “Sei sola?”, dal semplice ma sempre efficace: “E a te che te ne frega?”, al più sottile e soave: “No, aspetto tua sorella!”), perché questo innato terrore primordiale? E soprattutto: ma possibile che due bei ragazzi così giovani, due modellini per rivistina tardoadolescenziale, non abbiano di meglio da fare la domenica pomeriggio in spiaggia che abbordare in maniera tanto diretta e grezza una sconosciuta? Che razza di educazione relazionale e affettiva avranno ricevuto? Quella che si può trovare su internet, congetturi, mentre racconti acida l’accaduto a lui che finalmente ti ha raggiunta sotto l’ombrellone, soddisfatto dopo la sua lunga maschia nuotata:
“Di sicuro sono due affezionati frequentatori di YouPorn!”, spari, nel tentativo di dare sfogo alla bile e alla strizza accumulate. E lui ti darà dell’esagerata, forse; forse anche scherzerà, alludendo all’attrazione dei ragazzi della loro età per le milf; forse anche ti dirà che gli dispiace, strizzandoti un braccio e circondandoti protettivo le spalle; forse anche proverà a sdrammatizzare, facendo commenti ammirati sul tuo discreto stato di conservazione; forse anche potrà guardare storto i due stronzetti che poi vi ripasseranno davanti, di ritorno dalla loro infruttuosa passeggiata; ma purtroppo non potrà mai, mai capire davvero cosa vuol dire: ritrovarsi da sola a mollo nel molle mare d’agosto, con due giovani sconosciuti a un braccio di indesiderata distanza.

Sorvegliato speciale

19 Maggio 2014

“La mattina in cui mio padre pisciò en plein air davanti a tutto il quartiere io non c’ero.”

Una mia storia, più vera del vero, è ospite oggi della rivista online di Violetta Bellocchio

Le ragioni del corpo #1

24 gennaio 2013

Arriva il momento in cui si impongono. Soffocano i tuoi tentativi di zittirle, di non starle a sentire, di rimandarle a tempi migliori, più rilassati, più comodi, più vitali: tempi con più tempo. Tempi in cui il tempo non è divorato, rubato, o irritabilmente sprecato; ma guadagnato, assaporato e felicemente perso.

Le ragioni del corpo hanno sempre ragione; non devi quindi stupirti se, quando trovano voce, il loro tono è perentorio, inesorabile. Il corpo, infatti, non vuole sentire (le tue) ragioni. Esasperato dalla lunga attesa, se ne frega delle sacrosante scuse che gli hai opposto ogni giorno, per mesi, ogni volta che, a voce ancora sommessa, provava a ricordarti che, nella tua adulta vita di impegni, doveri e preoccupazioni, c’era anche lui; e che non gli bastavano quei pochi risicati piaceri da fine settimana per funzionare a dovere, per esserti felice compagno di vita.

Lo hai schiavizzato e ignorato quando ti chiedeva un’attenzione vigile e premurosa, blandito con ascolti distratti e buoni propositi, automatismi salutari senza cuore, fatti solo per metterti a posto la coscienza: Lo vedi, corpo, che a te ci penso? Ti porto a correre ogni tanto; ti nutro bene, forse pure troppo; adesso non ho tempo per fare altro, ma vedrai, con la bella stagione…

Lui però non ci è mica cascato. Vuole com-partecipazione, pratica e attiva, costante, non una sequela di intermittenti abitudini sane solo in teoria; vuole che dai orecchie ai suoi messaggi, occhi ai suoi segnali, bocca per alimentarlo di quello che gli serve in un dato momento specifico, non di quello che tu hai già preparato in tutta fretta e adesso fai il bravo e mangia questa minestra, corpo: quello che ti va, lo cucinerò un’altra volta.

Ogni tanto pensavi che sarebbe stato il caso di toccarlo un po’ di più, per fargli sentire che ci sei ancora, che di lui ti importa e molto: che non era solo il tuo schiavo e servitore, ma amico e complice. No, sarebbe troppo difficile, fermarsi… tu hai fretta, non hai tempo, ma ragioni che ti spingono avanti-avanti-avanti: così lo hai dato per scontato, come un buon acquisto, un “buon usato” senza brutte sorprese, fedele negli anni. Gli hai imposto, invece, sforzi improvvisi, ritmi militari, rimandando al contempo le visite specialistiche, l’acquisto di nuove scarpe da running, l’iscrizione in piscina quando lui ti chiedeva Acqua! Acqua!!, Acqua!!! Ci avresti pensato dopo, alla sua sete di nuoto; quando avresti avuto più tempo.

Così lui ha smesso di mormorare ed implorare. Il primo urlo l’hai sentito in un tardo pomeriggio, mentre uscivi di corsa dall’ufficio temendo di perdere il treno; ha urlato attraverso le tue vertebre lombari, L2-L3, bloccandole in una morsa agghiacciante e allo stesso tempo elettrica: una saetta di puro dolore ha fatto zig-zag nella tua colonna, L2-L3, fin su al cervello, e poi di nuovo giù, L2-L3, L2-L3, scaricandotisi infine nei lombi.

Ammutolisci. Arranchi come un centenario alla fermata del treno, mentre le tue vertebre lombari continuano incazzate ad ululare L2-L3, L2-L3. Arriverai dopo un secolo a casa, finalmente, e scoverai in un cassetto l’ultima pillola di antidolorifico – zitto, corpo, zitta, schiena! Qui c’è gente che lavora. Che deve dormire. Che domani deve alzarsi presto. E loro si zittiscono: non del tutto, giusto il tanto che basta a farti rattrappire, cauta, su un fianco e addormentarti.

(continua)